Ieri sera, ho partecipato ad una conferenza molto interessante: protagonista della serata, le imprese e la vita di Pierluigi Airoldi. Luigino, così è chiamato da tutti, è uno dei più importanti alpinisti italiani insieme a dei pilasti quali: Riccardo Cassin, Jack Canali, Carlo Mauri e Walter Bonatti. Insieme a loro ha fatto e continua a far parte del gruppo del Cai dei Ragni di Lecco. E’ entrata nella storia la scalata del ’61 al Mount McKinley (la montagna più alta del nord America), impresa che è valsa i complimenti e l’ammirazione riportati in una lettera dell’allora presidente Kennedy; di incredibile, oltre la scalata in sé, è quello che è successo dopo. Dopo aver vagato per due settimane in Alaska, dato per disperso durante la discesa della montagna che aveva scalato, venne recuperato da un aereo canadese che lo riportò negli stati uniti: qui, a New York , gli viene proposto dall’ambasciatore italiano di salpare su un vascello italiano con destinazione Antartide. Ancora fresche le precedenti avventure / disavventure, non si sarebbe messo in viaggio prima di 2 mesi, giusto il tempo di recarsi in Perù per scalare un altra montagna. Il viaggio alle volte di Ushuaia, la città più a sud del mondo, ha un sapore difficile da descrivere. I mezzi del tempo erano tutt’altro che tecnologici, e nemmeno sicuri. La barca (perché così si può definire) con cui doppiarono Capo Horn e attraversavano lo stretto di Drake, la San Giuseppe II, era decisamente fatiscente: si trattava una piccola vela di 11 metri con lo scafo in legno, un piccolo motore ad elica, una radio (guastatasi poco dopo la partenza) e una pompa di sentina a motore che funzionava a mano. Ovviamente niente radar.
Questo è un po’ il riassunto di quello di cui si è parlato ieri sera con il diretto interessato. La cosa che mi ha colpito è i modo in cui Luigino racconta le sue storie; con una semplicità, un umiltà e un entusiasmo disarmante. Come se certe cose fossero alla portata di tutti. “Per me l’importante era prendere e partire, non si sapeva come e quando, poi in qualche modo si faceva”. Luigino Airoldi